La Cassazione nega il risarcimento al pedone che cade nel tombino scoperto (vicino a casa)

La Cassazione nega il risarcimento al pedone che cade nel tombino scoperto (vicino a casa)
27 Gennaio 2020: La Cassazione nega il risarcimento al pedone che cade nel tombino scoperto (vicino a casa) 27 Gennaio 2020

IL CASO. Tizia aveva convenuto in giudizio il Comune di Messina, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti “in conseguenza della caduta avvenuta su un tombino sprovvisto di copertura, sito in una via del centro cittadino”. 
Il Comune si era costituito in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. 
Il Tribunale di Messina aveva rigettato la domanda, condannando l’attrice al pagamento delle spese di giudizio. 
La Corte d’Appello di Messina, adita da Tizia, aveva parzialmente accolto il gravame in relazione alla sola misura della liquidazione delle spese, confermando nel resto la sentenza di primo grado ed integralmente compensando le spese del giudizio di appello. 
Avverso tale decisione Tizia aveva, pertanto, proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. 
Col primo aveva lamentato “violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ.” (“responsabilità del custode”), col secondo “violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 cod. civ.(“responsabilità da illecito in conseguenza della presenza sulla strada di un tombino aperto, costituente un’insidia”) e col terzo “violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell'art. 132, n. 4), del codice di procedura civile”. 
 
LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31217/2019, nel trattare congiuntamente i tre motivi “in considerazione della loro evidente connessione”, li ha ritenuti “in parte inammissibili ed in parte infondati”. 
Ha anzitutto richiamato le proprie “ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483” con le quali, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ha stabilito che “la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
Il Giudice di legittimità ha ritenuto che la Corte d’Appello di Messina avesse “fatto buon governo di tali principi”, da un lato “riconosc[endo] che la domanda risarcitoria doveva essere considerata come fondata anche sull’art. 2051 cod. civ., così come ha dato atto che il tratto di strada dov’era avvenuta la caduta era interessato da «una incuria ed un disinteresse manutentivo parecchio prolungati», per cui non era pensabile che nessun dipendente della pubblica amministrazione si fosse avveduto di tale situazione”, dall’altro osservando che “la situazione dei luoghi era tale, per estensione e visibilità, da dover mettere l’utente della strada «in doverosa allerta e attenzione»”. 
Infatti, “la caduta era avvenuta intorno alle 20.15 di una sera di luglio, quindi in condizioni di sufficiente illuminazione diurna, la vittima era una donna di 50 anni, come tale pienamente in grado di percepire il pericolo esistente; per di più, era emerso dall’istruttoria che ella abitava proprio nei pressi del luogo del sinistro, per cui la situazione di dissesto non poteva non esserle nota”.
Pertanto, la Cassazione ha ritenuto che “da tali elementi” la Corte d’Appello di Messina aveva correttamente “tratto la conclusione per cui il comportamento della vittima era stato «altamente negligente e disattento», né la presenza di un tombino con un tondino di ferro sospeso al di sopra poteva ritenersi elemento sufficiente per l’affermazione della responsabilità del Comune. In altre parole, quindi, la condotta dell’appellante si era caratterizzata per una macroscopica negligenza, tanto da interrompere, e quindi escludere, il nesso tra l'anomalia della cosa in custodia e l’evento”. 
Il Giudice di legittimità ha, quindi, rigettato il ricorso, condannando Tizia al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. 

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